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La superior IPA e il sestiere Castello

By febbraio 27, 2020 No Comments
Superior IPA Zago Sestiere Castello

La birra

Birra dalle variegate sfumature, la Superior IPA presenta un perlage fine ed equilibrato, una crema molto marcata e un corpo persistente. È perfetta per tutti coloro che amano le birre complesse e contemplative. È una birra ad alta fermentazione, dal grado alcolico abbastanza contenuto in quanto si attesta sui 5,6° Alc./Vol. Come tutte le sei referenze della linea Exclusive Selection, anche la Superior IPA è stata realizzata con la tecnica del dry hopping, ovvero della luppolatura a freddo. Questo particolare processo permette alla birra di conservare in maniera più decisa tutte le qualità, olfattive e gustative, dei luppoli impiegati.

I luppoli utilizzati sprigionano un bouquet vegetale e floreale tra cui spiccano note di peonia, bergamotto e tiglio. Al gusto emergono note amaricanti persistenti che lasciano in bocca una sensazione fresca e delicata. Va servita fredda, attorno ai 6° C, per gustare la meglio tutte le sue qualità.

L’etichetta

La Superior Ipa ha una bella etichetta dal verde intenso, così come i luppoli di cui questa birra agricola è ricca. Sono riconoscibili alcuni dei palazzi più caratteristici di questo sestiere che si sviluppa nella parte orientale della città ed è il secondo più grande per popolazione.

Il colore dell’etichetta, oltre che questa bellissima zona della città, vuole essere anche un omaggio alla natura: Castello è infatti il sestiere con più verde pubblico al suo interno, grazie ai Giardini e all’isola di Sant’Elena.

Pare che il nome Castello derivi da un antico presidio militare che si trovava all’estremità est della città.

Da San Zaccaria a Palazzo Grimani

Il primo luogo che incontriamo nel nostro viaggio alla scoperta di Castello è la Chiesa di San Zaccaria. Non è rappresentata nell’etichetta della Superior IPA ma merita comunque una visita per la sua importanza. Si tratta infatti di una delle fondazioni monastiche più antiche della città (pare risalga al IX secolo). Se foste un doge non vi consiglieremmo di visitarla perché qui, nel corso dei secoli, ne vennero assassinati ben tre e questo le è valso il poco lusinghiero soprannome di “chiesa degli omicidi”! Ma questi non sono gli unici eventi tragici che hanno funestato questo edificio: un rovinoso incendio devastò la struttura nel 1105, uccidendo oltre cento monache che avevano cercato rifugio nella cripta. Proprio qui riposa San Zaccaria che, evidentemente, non soffre per l’umidità dal momento che questi ambienti sono caratterizzati dalla costante presenza di acqua. Questa, grazie alla riflessione, fa sembrare gli spazi molto più ampi di quanto siano in realtà.

Proseguendo verso nord ovest, ci dirigiamo a Palazzo Grimani. Oggi il palazzo è sede di un museo e ne consigliamo la visita poiché, come spesso accade, si tratta di un piccolo gioiello ricco di tesori da scoprire con tranquillità, lontano dai grandi flussi turistici che caratterizzano altri luoghi di cultura a Venezia. Qui nel Settecento era di casa Giacomo Casanova, amico dei fratelli Grimani che, tuttavia, era malvisto dalla madre di questi. Il palazzo è legato anche una storia particolare: nel Cinquecento il peristilio era ornato da una statua di Marco Agrippa proveniente dal Pantheon di Roma. I proprietari, ricevuta una generosa offerta dalla Francia, erano in procinto di vendere il reperto archeologico nonostante le proteste di buona parte della cittadinanza. La mattina della partenza si presentò a Palazzo Grimani il fante degli Inquisitori per augurare ufficialmente buon viaggio alla famiglia Grimani. Il messaggio era chiaro: la Serenissima non voleva permettere che il bene finisse in mani straniere e per impedirlo arrivò a minacciare di esilio la nobile casata. Marco Agrippa rimase a Venezia e insieme a lui tutti gli altri tesori antichi che oggi è possibile ammirare al Museo Archeologico in piazza San Marco.

San Giorgio dei Greci e la Scuola Dalmata

Anche la chiesa di San Giorgio dei Greci non compare nell’etichetta della Superior IPA ma è una tappa che consigliamo davvero di fare. Chiesa che risale al XVI secolo, è di culto ortodosso e attorno ad essa, nei secoli scorsi, era andata formandosi una vasta comunità ellenica. All’esterno ha le tipiche forme di una chiesa rinascimentale come ce ne sono molte a Venezia ma, una volta entrati, si respira lo spirito bizantino, a partire dalla bellissima iconostasi. L’iconostasi è una struttura lignea che, nelle chiese di culto orientale, separa la navata della chiesa dall’area (chiamata Bema) in cui viene celebrata l’Eucarestia. È decorata con molte icone che hanno un ordine ben preciso. Anche a San Giorgio dei Greci vi è un’iconostasi decorata con elementi in marmo, pitture di Michele Damasceno e, svettante su tutto, un Cristo benedicente risalente al Trecento. Il campanile è indubbiamente pendente ma ciò non è dovuto al passare dei secoli: è sempre stato così e questa è davvero una cosa curiosa!

Non lontano dalla chiesa di San Giorgio dei Greci si trova la Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone (detta anche Scuola di San Giorgio degli Schiavoni). Nasce nel 1451 con lo scopo di fornire assistenza in vita e in morte a tutti i cittadini Dalmati – all’epoca a Venezia erano una comunità consistente – ed è dedicata ai Santi Giorgio e Trifone. All’interno sono conservati dei teleri realizzati da Vittore Carpaccio che da soli valgono un viaggio a Venezia per poterli ammirare. Si tratta di una delle uniche scuole ad aver mantenuto intatta la sua attività fino ai giorni nostri.

La pietra della peste

Nei dintorni della Scuola di San Giorgio c’è un posto davvero particolare: il sotoportego de la Corte Nuova. Vale la pena di farci un salto ma con le dovute precauzioni! Sul selciato noterete di certo una lastra di marmo rosso che spicca tra le altre grigie. Si tratta della pietra della peste e non va assolutamente pestata perché, si dice, porti male. Avendo tempo è davvero divertente osservare come i veneziani evitino accuratamente, in maniera quasi automatica, di calpestarla. L’origine di questa storia risale alla pestilenza del 1630; in quell’anno Giovanna, una fanciulla che abitava in quel luogo, aveva esortato i suoi vicini a non temere la peste e ad affidarsi alla Madonna. Aveva anche realizzato una tela votiva con le sue mani e l’aveva deposta nel sotoportego che era quindi diventato una specie di cappella aperta. Proprio davanti a questa raffigurazione la peste si sarebbe fermata e nel luogo della sua resa venne posta una pietra a memoria del fatto.

San Giovanni in Bragora: una facciata inconfondibile

Altra meta importante di questo itinerario è la chiesa di San Giovanni in Bragora. Dista meno di 400 m dalla Scuola di San Giorgio degli Schiavoni e per raggiungerla passeremo davanti a una via il cui nome è parecchio inquietante: calle della Morte. Secondo la tradizione, in questo luogo venivano fatti sparire i condannati “non ufficiali” ovvero tutte quelle personalità scomode per la Serenissima.

Giungiamo quindi di fronte a San Giovanni in Bragora, edificio che risale all’VIII secolo. Quella che vediamo oggi, naturalmente, non è la struttura originaria che venne riedificata nel 1475 e poi diverse volte nei secoli successivi. Qui venne battezzato il prete rosso Antonio Vivaldi (in realtà per la seconda volta: il primo battesimo avvenne nella casa della levatrice perché si pensava il bambino potesse morire da un momento all’altro). A Vivaldi, eccezionale genio musicale, è legata una leggenda molto affascinante. Il neonato, oltre che al Battesimo, venne sottoposto anche a diversi esorcismi ma, a quanto pare troppo tardi per essere completamente immune dal Male. Passò la vita, per sua stessa ammissione, tormentato da un’inquietudine inspiegabile e il diavolo, arrabbiato per non essere riuscito a ottenere un’anima così importante, si vendicò non consentendogli di scrivere la sua melodia più bella. Pare però che, nelle notti di brezza, il vento, increspando l’acqua, restituisca brandelli di questa melodia celestiale.

Il nome Bragora è particolare e la sua etimologia è incerta. Tutta la zona viene chiamata così e si pensa possa derivare dall’antica parola dialettale “bragola”, ovvero la piazza del mercato, oppure dal greco “agorà”.

San Pietro in Castello tra storia e leggenda

La nostra meta successiva è la chiesa di San Pietro in Castello. Questa è stata la cattedrale della città fino al 1807 quando il titolo è passato a San Marco. All’interno dell’edificio si trova ancora il trono di San Pietro in cui, secondo la tradizione, si sarebbe seduto proprio l’apostolo mentre si trovava ad Antiochia. Ma il trono è importante anche perché, sempre secondo la leggenda, al suo interno vi sarebbe nascosto nientemeno che il Sacro Graal. Lo schienale è una stele funeraria musulmana, decorata su entrambi i lati e recante versetti del Corano.

Altra leggenda legata alla chiesa è quella delle dodici spose di Venezia. Pare che nel X secolo vi fosse l’usanza di celebrare tutti i matrimoni in un unico giorno proprio in questo tempio. Le spose partivano quindi in processione verso i futuri mariti ma qualcosa andò storto nel gennaio del 944. Pirati triestini rapirono le giovani con tanto di corredi e doti. Non si allontanarono molto, desiderosi di spartirsi il bottino al più presto, ma furono raggiunti e trucidati dai Veneziani. In memoria di quell’evento fu imposto a dodici famiglie patrizie di provvedere, ogni anno, al corredo e alla dote di dodici fanciulle indigenti.

L’arsenale e la chiesa di San Zanipolo

Riprendendo la strada verso ovest ci imbatteremo nella cosiddetta Porta di terra, uno degli ingressi dell’Arsenale di Venezia, le cui torri sono rappresentate sul retro della Superior IPA. L’intero arsenale occupa una grande area del sestiere Castello ed è cinto da alte mura merlate. Qui venivano costruite le navi da guerra e i mercantili che hanno reso Venezia una super potenza per secoli. A fare la guardia c’è un leone, arrivato addirittura dalla Grecia per assolvere a questo compito! Stiamo parlando del Leone del Pireo che, come suggerisce il nome, originariamente era collocata nell’antico porto di Atene. Arrivò a Venezia come bottino di guerra verso la fine del Seicento, dopo circa un millennio e mezza di permanenza nella sua originaria sede. La statua è davvero imponente: di marmo, è altra tre metri. Il leone è seduto e reca delle iscrizioni runiche sulle spalle e sui fianchi, realizzate intorno alla metà dell’XI secolo da alcuni mercenari scandinavi al servizio di Bisanzio. Oggi le scritte risultano pesantemente rovinate da agenti atmosferici e inquinamento e sebbene incidere un reperto antico sia un atto di vandalismo a tutti gli effetti, non possiamo che guardare a queste incisioni, divenute esse stesse memoria storica antichissima, con un certo trasporto.

Il nostro viaggio con la Superior IPA alla scoperta di alcune curiosità del sestiere Castello non può che concludersi alla Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. I Veneziani la chiamano anche San Zanipolo, fondendo per praticità in una crasi i due nomi. È la chiesa più grande di Venezia e al suo interno riposano moltissimi dogi della Serenissima nonché altre personalità di spicco della storia della Repubblica. Naturalmente anche a questo luogo è legata una leggenda: pare che dietro all’edificio, ogni notte, si svolga un sinistro “incontro” di tre dogi. Il primo è Marin Faliero, il doge traditore che, nel 1355, venne decapitato e la testa gli fu posta tra le gambe per disprezzo. Il suo spirito, dopo secoli, vaga ancora alla ricerca del suo capo. L’altro doge è Enrico Dandolo che, nel 1204, a oltre ottant’anni e cieco, guidò i Veneziani contro Costantinopoli, massacrando molte persone per la gloria. Il suo fantasma appare davvero inquietante, con due tizzoni ardenti al posto degli occhi e una spada con cui si mutili per l’eternità le mani, colpevoli di aver versato sangue innocente. Il terzo protagonista di questo singolare rendez-vous è Tommaso Mocenigo che fece una lugubre profezia in punto di morte, nel 1423, e non venne ascoltato. Quanto preannunciato si avverò e oggi il suo spirito inquieto vaga estraendo un cartiglio dalla bocca che diventa sempre più lungo, gli si attorciglia fra le gambe e lo fa cadere in continuazione.